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Ires premiale, l’incremento dell’imponibile nel 2025 può amplificare in modo esponenziale il beneficio che si ottiene in rapporto al volume degli investimenti. Bonus azzerato, invece, per la società che chiuderanno in perdita fiscale il periodo di imposta 2025, senza alcuna possibilità di riportare il bonus agli anni successivi. Dopo l’approvazione in commissione bilancio, le società cominciano a simulare i possibili effetti della misura in funzione dei molti parametri previsti per il calcolo. Nel testo finale dell’emendamento scompare la rilevanza dell’utile del 2023. L’Ires premiale prevista dalla legge di Bilancio spetta alle società che raggiungeranno, tra 2024 e 2025, ben cinque articolate condizion: accantonamento dell’80%dell’utile, investimenti minimi, crescita occupazionale, nuove assunzioni e assenza di Cig. Una volta realizzati i requisiti di legge (mantenendoli, quanto ai primi due, anche in anni successivi), il bonus viene calcolato come sconto del 4% dell’aliquota Ires, da applicare, non già a un importo parametrato agli investimenti o al costo dei nuovi assunti, ma all’intero imponibile Ires della dichiarazione dei Redditi 2026. Questo complicato quadro applicativo fa sì che possano generarsi, in termini di beneficio fiscale ottenibile, risultati molto differenti e a volte inaspettati, a seconda dell’andamento dei parametri di riferimento. Tra tutti questi parametri, però, ciò che governa il risultato fiale è esclusivamente l’imponibile Ires che si avrà a fine del 2025. Una volta realizzate le condizioni minime, dunque, la crescita dell’imponibile del prossimo esercizio comporterà un beneficio che potrà arrivare anche a livelli molto elevati sia in termini assoluti sia, soprattutto, in rapporto agli investimenti minimi realizzati. Come si vede dagli esempi qui a fianco, il tax saving in percentuale sulla spesa per gli investimenti minimi cresce in modo esponenziale se l’utile netto di bilancio del 2024 (il cui 24% determina il valore degli investimenti da realizzare) è scarso o nullo (come avverrà per diverse imprese manifatturiere italiane) con un reddito di impresa che invece si colloca su importi molto elevati nel 2025. Il testo finale dell’emendamento non riporta, a differenza di quanto previsto da un subemendamento proposto nei giorni scorsi, alcun riferimento all’utile del 2023 quale secondo parametro da utilizzare per calcolare gli investimenti.
Una criticità del meccanismo applicativo (oltre alla ricordata complessità delle condizioni da raggiungere) deriva dall’azzeramento del beneficio per quelle società che, pur rispettando tutti i parametri (accantonamento dell’utile, investimenti minimi, e nuove assunzioni), chiuderanno la dichiarazione dei redditi 2026 con una perdita fiscale. Trattandosi di una agevolazione di aliquota (e non di imponibile, come avveniva, ad esempio, per l’Ace), infatti, se il reddito 2025 sarà negativo, nessun risparmio fiscale si otterrà dato che il bonus potenziale non è riportabile in avanti per essere applicato ai futuri imponibili.
Un’altra anomalia del meccanismo riguarda i casi in cui il bilancio del 2024 si sia chiuso con una perdita. In queste situazioni, infatti, viene meno sia il vincolo di accantonamento a riserva (come ovvio), sia la condizione di realizzare un certo ammontare di investimenti, ma ciò non impedisce (se sono realizzati i requisiti sul personale) di ottenere un risparmio fiscale, che sarà anche molto elevato se il 2025 evidenzia un rilevante imponibile fiscale. Inoltre, la perdita del 2024 a cui fa seguito l’utile del 2025 comporta la possibilità di distribuire interamente quest’ultimo risultato nel 2026 senza perdere il beneficio per la clausola di recapture. Cosa che invece non accade nel caso contrario (utile 2024 e perdita civilistica 2025). Con riferimento in caso di dismissione degli investimenti nei cinque anni successivi, la norma andrebbe poi corretta consentendo di evitare la perdita del bonus mediante investimenti sostitutivi come avviene per i crediti 4.0 e 5.0.
FONTE: Il Sole 24 Ore.